COLLEZIONE FOTOGRAFICA DEL MOMA

Sfogliando gran parte delle pagine di questa galleria ho individuato i tre autori che più di altri hanno catturato la mia attenzione.

HENRI CARTIER BRESSON




Henri Cartier-Bresson è considerato il padre del “foto-giornalismo”. Nessuno come lui è stato capace di catturare con uno scatto il “momento decisivo”, come lo ha definito suo libro più noto “The decisive moment” (1952).
Proporzioni, dinamica ed equilibrio tra neri e bianchi: le foto di Cartier-Bresson sono basate sulla spontaneità, sulla capacità di cogliere il momento. Di rado infatti usava l’esposimetro per regolare la luce come un cuoco “non usa la bilancia per sapere quanto sale mettere nella torta per esaltare il gusto dello zucchero. È questione d’intuito”. (intervista radio del 1958)
Coerente con questa filosofia, Cartier-Bresson nei suoi ritratti non mette i soggetti in posa ma preferisce fotografarli nel quotidiano, mentre sono inseriti nel loro ambiente.
Grazie alla fedeltà alle sue macchine fotografiche Leica che considerava “un’estensione del suo stesso occhio”, Cartier-Bresson ha contribuito a rendere immortale questo marchio.
Non amava molto le didascalie, Cartier-Bresson si limitava a indicare luogo e data nelle sue foto. “Le immagini non hanno bisogno di parole, di un testo che le spieghi - ha detto  - sono mute, perché devono parlare al cuore e agli occhi”.
Cartier-Bresson durante la Seconda Guerra Mondiale ha combattuto nell’esercito francese. Catturato dai tedeschi  è riuscito a fuggire (al terzo tentativo) per partecipare attivamente allaResistenza francese.
Cartier-Bresson nel 1947 ha fondato con Robert Capa, David Seymour, George Rodger e William Vandivert la Magnum Photos, che diventerà la più grande agenzia fotografica al mondo.
Cartier-Bresson è stato sempre attratto dalla pittura. Sua prima e ultima passione.
Cartier-Bresson è stato anche regista, tra le sue opere c’è “Le Retour”, documentario del 1946 sul ritorno dei rifugiati di guerra francesi. Ha inoltre lavorato con il regista Jean Renoir (figlio di Pierre-Auguste Renoir) come attore e per la realizzazione di film e documentari.
Un delle foto più note di Cartier-Bresson è “Hyères, Francia, 1932” (vedi sopra). Famosi anche i ritratti di Camus Matisse

















KARL BLOSSFELDT


Ho iniziato a sentir parlare di questo autore il primo anno durante il corso di Disegno Tecnico e Progettuale con la professoressa A. Ghinato, e col tempo mi ha conquistato sempre più.

Blossfeldt nacque nel 1865 a Schielo, nella regione dei monti dello Harz.Crebbe all'aria aperta e sin da piccolo dimostrò un'inclinazione per l'arte e per il giardino dei genitori in cui era solito lavorare.Fu proprio qui nella sua città natale che iniziò a realizzare le sue prime fotografie.

Da subito mi ha colpito la sua razionalità nei soggeti e nelle inquadrature delle sue foto botaniche.
Rigorosamente in bianco e nero queste foto rappresentano diverse piante che proprio per questo perdono colore, perdono il profumo ma di certo l'autore è riuscito a distinguersi da chi prima e dopo di lui ha affrontato il settore della fotografia botanica.

Blossfeldt K. prima di fotografare queste piante le ha studiate nei minimi dettagli riuscendo così a scoprire particolari sino ad allora invisibili e riuscì a rivelarne le simmetrie tramite le foto.
Di queste sue foto noi ne conosciamo circa un centinaio ma in realtà si pensa che la sua produzione totale dovesse ammontare a circa 6000 fotografie di piante.
Con la sua fotografia, Blossfeldt si collega alla tradizione degli erbari, in cui le piante essicate vengono minuziosamente catalogate per nome, data e luogo ecc.
Egli raccoglieva le piante nei sentieri, in campagna, nelle scarpate ferroviarie.Per lui erano proprio el painte più denigrate ad avere le forme più interessanti.
Il suo lavoro è dunque incentrato sulle piante,ma durante la sua vita egli ha tentano di dedicarsi a fotografare paesaggi, monumenti storici dei paesi che visitiva ma senza ottenere scatti di qualità come quelli botanici.























ALEX PRAGER



L'artista è nata a Los Angeles nel 1979, lei vive e lavora lì attualmente,è una delle fotografe contemporanee sulla quale scommettere.
Numerose mostre in giro per il mondo confermando il trend.

I suoi profili di fotografie sono scorci di vita. Le collezioni di Alex Prager, ormai apprezzate sia nei musei che nelle gallerie, sono racconti di storie che hanno la forma di immagini che si susseguono.
Come vere e proprie performance statiche ambientate in set cinematografici, le fotografie di Alex Prager sono cariche di un’espressività che paralizza lo spettatore. Isoggetti sono solidi e voluminosi, grazie anche ai contorni decisi della luce che combatte con il colore. Le pose plastiche dei corpi modellano l’intera immagine trasformandola in una scena di un film. Si, alcune sembrano proprio fotogrammi di un film in cui lo spettatore ha bloccato la visione con il tasto “pause”. E tutti sono fermi lì, tra il prima e il dopo. E la mente dello spettatore non può far altro che chiedersi cosa sia accaduto prima e cosa accadrà dopo. Spesso le fotografie di Alex Prager ritraggono storie di vita osservate dall’alto; la macchina fotografica si trasforma in un braccio meccanico che curiosa tra le nuvole le espressioni umane. E, forse, anche questo aspetto, avvicina il palcoscenico di fantasia di Alex Prager a un set cinematografico. Come il carrello volante di Alfred Hitchcock o la giraffa da presa di Brian De Palma, le sue fotografie sono ritratti di gente immobile che catturano l’attimo.
Un po’ per caso, un po’ grazie all’ inconsapevole attitudine di Alex Prager, la fotografa di Los Angels si scopre anche film maker. Un’altra scommessa, un’altra vittoria. Le sue esperienze cinematografiche trasportano i suoi personaggi in un dimensione temporale allungata nella quale Alex svela delicatamente il prima e il dopo degli attimi immobili imprigionati nelle sue fotografie.













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